I 30 denari di Giuda. Simbolo di tradimento? Simbolo della passione di Cristo? O simbolo della corruzione dell’anima? Ma questi trenta denari sono solo un simbolo o possiamo ricondurli e identificarli con delle monete che circolavano al tempo?
Secondo il Nuovo Testamento, Giuda Iscariota era, tra i 12 apostoli, quello che tradì Gesù segnalandolo con un bacio alla folla che lo catturò. Il tradimento venne pagato trenta denari, monete realmente esistite, che ancora oggi possiamo osservare tra quelle che circolavano all’epoca in Giudea.
Per identificare a quali monete corrispondessero realmente i 30 denari di Giuda, dobbiamo innanzitutto prendere in considerazione il periodo storico in cui questi circolavano. È il periodo che va dal tradimento di Giuda alla crocifissione di Gesù Cristo, storicamente identificata nel 33 d.C., anno in cui l’autorità imperiale in Giudea era quella di Tiberio.
Dunque, le monete che circolavano potevano essere i denari di Tiberio o i denari di Augusto. Infatti, come succede ancora oggi, all’epoca non circolava esclusivamente la monetazione coniata nell’anno in corso, ma anche monete di 30 o 40 anni precedenti, ad esempio quelle di Augusto. Questi denari venivano solitamente punzonati e contromarcati per legittimarne il corso. Dunque, l’annosa questione dei 30 denari sembra essere quasi risolta: potevano essere i denari di Augusto o i denari di Tiberio.
Abbiamo però omesso un piccolo particolare che può cambiare tutto. All’epoca, nelle province imperiali, come la Giudea, non circolava solo la monetazione imperiale romana ma anche una monetazione locale, detta moneta provinciale, con esemplari che potevano essere di bronzo o d’argento.
In Giudea circolavano le unità di misura dette siclo o shekel, delle monete d’argento diffuse in tutto il Medio oriente e in particolare tra le popolazioni ebraiche. Queste monete venivano coniate dalla zecca di Tiro, in Fenicia, a partire dal 126 a.C e fino al 65 d.C. e presentano al diritto un’effigie regale identificata nella divinità Melqart, signore della città di Tiro e protettore dei naviganti. Al rovescio invece troviamo la presenza di un’aquila, simbolo della monetazione tolemaica.
I sicli sembrano essere dunque le monete più papabili per l’identificazione con i trenta denari di Giuda. Inoltre, se prendiamo in considerazione anche le fonti scritte, come il Nuovo testamento, vediamo che viene indicato il fatto che non poteva entrare all’interno del Tempio nessuna moneta straniera e quindi potevano entrare all’interno del tesoro solo le monete locali, quindi probabilmente i sicli.
Oltretutto, sono stati proprio i sacerdoti ad estrapolare questa somma direttamente dal tesoro del Tempio e a consegnarla nelle mani di Giuda, il quale, dopo aver tradito Gesù, venne colpito dai sensi di colpa e decide di tornare dai sacerdoti per restituire la somma. I sacerdoti purtroppo videro queste monete ormai macchiate di sangue e non degne di essere reinserite all’interno del tesoro. Anzi, la tradizione vuole che con queste monete loro abbiano acquistato il Campo del vasaio per crearvi un luogo di sepoltura per gli stranieri.
Queste monete, come spesso accade, nel tempo si sono perse nel mito e oggi non siamo più in grado di identificarle con certezza. Persino le reliquie di queste monete, che sono state venerate nel Medioevo, non sono riconducibili con certezza a nessuna moneta. Però, possiamo dire che queste monete (il denario di Tiberio e il denario di Augusto) potrebbero aver circolato in Giudea in questo periodo (33 d.C.) e potrebbero potenzialmente aver fatto parte di un sacchetto insieme ad altre 28 di argento.
Nel denario di Tiberio, vediamo al diritto l’effigie imperiale, ovvero la testa laureata dell’imperatore, circondata dalla legenda che ne richiama la titolatura imperiale. La legenda corre da destra verso sinistra e presenta le lettere rivolte verso il bordo della moneta. Questa pratica era in uso nel primo secolo d.C., ma venne messa in disuso nei secoli successivi.
La vera particolarità di queste monete romane era soprattutto nel rovescio, con delle scene che richiamavano la divinità, oppure la vita dell’imperatore. Sul denario di Tiberio che abbiamo esaminato, possiamo notare la presenza di una divinità seduta che gli studiosi hanno identificato con la Pax Romana (la Pace Romana) perché porta nella mano un ramoscello d’ulivo, simbolo della pace. Altri studiosi invece l’hanno identificata come la madre dell’imperatore, Livia, a cui lui era molto legato per l’ascesa al trono.
Sulla moneta di Augusto, sempre un denario di argento, il diritto è molto simile a quella vista in precedenza. Qui troviamo l’effigie imperiale, quindi la testa laureata dell’imperatore con tutta la sua titolatura regia che parte da destra verso sinistra.
Invece, sul rovescio di questo esemplare troviamo una scena piuttosto complessa: delle figure con delle lance e degli scudi. Questi sono i nipoti di Augusto (Caio e Lucio), talmente amati da essere posti sopra una moneta. Questa tecnica di posizionarli sopra una moneta era anche un modo per legittimarne la successione. Tuttavia, nel corso della storia non è andata come voleva Augusto perché purtroppo i suoi nipoti sono morti in tenera età e questo causò un duro colpo per Augusto che non si riprese per tutta la vita.
In questa puntata di Bolaffi Stories abbiamo parlato delle seguenti monete:
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